sabato 2 dicembre 2017

GUNDAM F91 METAL BUILD

Mobile Suit Gundam F-91 si può definire come ciò che era stato idealmente concepito come la seconda saga dedicata al biancheggiante mobil suit nella Universal Century, anche se la complessità di una serie tv ad episodi venne alla fine compressa in un unico lungometraggio di un paio d’ore, nel 1991. Vi ritroviamo gran parte dello staff della prima serie storica di Gundam, come Kunio Okawara al mecha design, che apporta qualche spunto di originalità alle classiche linee del robot giapponese.


Che un esemplare di Gundam sfuggisse alle tentacolari mani di Bandai era abbastanza improbabile, ma meno scontata era la linea di toys nella quale avrebbe collocato il suo gioiellino: l’F-91 è infatti il primo mobile suit proveniente dalla Universal Century ad essere rappresentato nell’eccezionale brand Metal Build, andando quindi ad affiancarsi a cose come Gundam Destiny, Freedom, Exia, 00 ed Astray. La cosa non ci turba più di tanto, certo possiamo confermare l’eterna imprevedibilità di Bandai che, a questo punto, può disporre come più le aggrada dei Metal Build o dei Metal Composite, generando forse un po' di confusione. Ma, in fondo, a noi interessa la qualità dei modelli proposti, e qui si confermano livelli strepitosi.
Ritroviamo tutte le caratteristiche tipiche della linea: presenza di un frame interno prevalentemente in metallo, con parti in plastica per la corazza esterna, profusione spettacolare di snodi e di tecnica costruttiva, livello di dettaglio allucinante, quantità di accessori imbarazzante e stand espositivo con braccio regolabile per le pose di volo. La verniciatura è limitata ad evidenziare una miriade di piccole parti, ma non è invece stesa su tutta la corazza principale.

Il design è stato curato in collaborazione con lo stesso Okawara e, come spesso è stato per i Metal Build, non è una mera copia del mech visto nel film, bensì si è optato per linee ben più slanciate ed aggressive e tutti i dettagli sono stati enfatizzati con decals, griglie o cornici talvolta quasi microscopiche; addirittura sono verniciati anche gli snodi in metallo, che sono studiati in modo da non sciupare gli strati superficiali. Quest’ultima finezza si è già vista nel costosissimo Gundam Strike Freedom e negli Astray, chissà se diventerà “di serie” anche nei prossimi Gundam. Per quanto riguarda l’altezza, per l’F-91 Bandai opta per i 17 cm, rompendo quindi la continuità con l’abituale scala 1/100. Ma c’è da dire che teoricamente è proprio l’F-91 ad essere più basso e compatto del Gundam classico, anzi, nel rappresentare le poche decine di metri che costituirebbero ufficialmente la sua altezza, la scala 1/100 l’avrebbe reso un microbo… pertanto la scelta di renderlo solo un centimetro più basso dei suoi colleghi, mi sembra azzeccata. Tra l’altro così sembra pure più incazzoso ^^ …

Per il resto, tecnicamente c’è solo l’eccellenza. Ritroviamo doppi snodi ai gomiti, ginocchia testa, busto plurisnodato, spalline e gonnellino mobili, vano per le else delle spade nel gonnellino laterale, flap orientabili di tutti i tipi, una testa trasformabile e una con due volti intercambiabili, accessori paurosamente dettagliati e semi-trasformabili, insomma è fantastico. Le armi spaziano dalla consueta coppia di spade laser e fucile, all’imponente Beam Launcher (il bazooka). I due cannoni V.S.B.R. sono uno dei tratti distintivi del modello, insieme all’enorme griglia che l’ F-91 porta sul petto, e possono essere tenuti a riposo in posizione verticale sulla schiena, oppure ruotati di 90° in avanti ad altezza gomito, pronti ad essere impugnati dopo opportuna trasformazione. Il movimento avviene attraverso lo scivolamento su di un apposito carrellino curvo, mentre l’impugnatura esce dai fucili dopo averli aperti. Tutto davvero molto bello.

Gli snodi sono ad attrito, ma hanno una tenuta veramente saldissima, anche troppo oserei dire, dal momento che nel mio esemplare ho faticato abbastanza nel muovere soprattutto gli arti inferiori. Fastidiosa la resistenza anche durante il cambio delle mani! Caspita, non è facile tenere allineato quel perno minuscolo e mobile mentre si imprime una forza notevole a quelle piccole mani… forse l’unico dettaglio che andrebbe rivisto.

F-91 è l’ennesimo capolavoro Metal Build, una linea che non conosce cedimenti di sorta e che, anzi, si conferma l’apoteosi per i fan di Gundam o, semplicemente, dei modelli tecnicamente ben fatti.

Recensione di Marco De Bon
Foto di Paolo Fasciani



domenica 26 novembre 2017

GX48 THE BIG O



Cast in the name of God, ye not guilty…..facciamo un salto all’indietro e torniamo nel 2009, anno in cui Bandai lancia sul mercato il suo Gx48, il Big O. Il soggetto è tratto dalla serie Sunrise del 1999 intitolata Za Biggu O, costituita da 26 episodi suddivisi in due stagioni di 13 capitoli l’una. Dal punto di vista estetico il robot si caratterizza per l’originalità del design retrò che lo distingue in modo evidente da gran parte degli innumerevoli mecha robotici che popolano i vari anime nipponici. Questo aspetto costituisce allo stesso tempo il punto a favore ed il tallone d’Achille del modello nei confronti del quale è difficile avere vie di mezzo, nel senso che, o lo si ama o lo si odia. Beh, a me sono bastate le prime due puntate dell’anime (che peraltro raccomando a tutti) per innamorarmi di quello che più che un robot ricorda per chiodature, forma e colori, una specie di stufa di ghisa e che, proprio per certi dettagli somatici, trova nel Giant Robot Yamato il degno gemello cui affiancarlo in vetrina. Ma procediamo senza ulteriore indugio con la nostra disamina…

La scatola è semplice e non ingombrante (32 x 24 x 9 cm). Frontalmente abbiamo l’immagine del modello con il grosso nome del robot ben stampato nell’angolo basso sinistro. Al di sotto di esso, la frase tipica che caratterizza l’intero anime…..Cast in the name of God, ye not guilty….. La stessa frase la ritroviamo centralmente sulla faccia posteriore dove, al di sotto di tre immagini del robot in pose diverse, sono illustrati i pochissimi accessori contenuti nella confezione. Della povertà di contenuti di questo modello e della scelta fatta da Bandai nei confronti dei potenziali acquirenti, avremo modo di parlare più avanti nel corso della recensione. All’interno troviamo un contenitore in polistirolo dove, protetto dal contatto tramite un foglio di plastica trasparente,  è alloggiato il Big O senza avambracci. Un blister di plastica trasparente invece contiene i due avambracci, due paia di mani (uno chiuso a pugno e uno con dita articolate separatamente alla mano a livello delle falangi), una piastra per simulare l’apertura delle bocche di fuoco sull’addome e due paia di piastre con tre cannoncini l’una applicabili sul torace dopo aver sollevato la pettorina del robot. Un secondo blister accoglie la basetta espositiva ed il supporto per gli accessori suddiviso in due parti da agganciare tra loro. Nell’immancabile libretto illustrativo è stato dato ampio spazio e risalto al fatto che sia la fase di progettazione che le fasi successive, sono state costantemente seguite dagli autori della serie anime. Data la semplicità del modello, le istruzioni di assemblaggio vere e proprie, sono chiaramente molto poche.

Il modello è davvero imponente sia per il design stesso, sia perchè in questo caso Bandai non ha fatto economia in termini di dimensioni, il gokin infatti ha una altezza di tutto rispetto, ben 22 cm. In realtà, sia perchè è grande e sia perchè a vederlo così sembra fatto interamente di metallo, si resta un po’ delusi quando estraendolo dalla scatola e soppesandolo ci si trova in mano un oggetto che avremmo creduto più pesante. Non fraintendete, il Gx48 supera comunque il mezzo chilo di peso, 545 grammi per la precisione, ed ha una buona percentuale di metallo. Le parti in zama sono; i piedi (interamente in metallo a parte il dorso e il copri piede), le cosce, il gonnellino, le spalle e le braccia. Il resto è invece in plastica per ragioni verosimilmente tecniche (difficile realizzare avambracci così grandi in metallo senza che ciò potesse condizionare la continua caduta dell’arto e la difficoltà nel mantenere le pose a livello di arti superiori). Nella sua monotonia, fatta eccezione per il casco, la fascia sul collo di color giallo arancio e la piastra dorata sul petto, il modello è praticamente monocromatico. La verniciatura di questo gx-48 non è solo impeccabile, ma davvero molto curata anche a livello di piccoli dettagli (vedi i piccoli cerchi rossi distribuiti un po’ qua e un po’ là sulle varie parti del corpo). Dal punto di vista tecnico è stato fatto certamente un ottimo lavoro, bello il sistema a stantuffo molleggiato ideato per consentire più libertà di inclinazione alle caviglie. Questo, associato alla possibilità di abbassare gli snodi delle anche quando si allargano le cosce (sistema che ricorda il blocco del bacino dei GX44 e Gx45), permette di dare posabilità ad un soggetto che di base non ha un design che fa della leggiadria e dell’agilità le sue armi migliori e che, nell’anime stesso, soffre di una certa staticità. La possibilità di estrarre parzialmente le cosce dalle gambe garantisce inoltre maggiori escursioni nei movimenti di flessione all’articolazione (a scatto) delle ginocchia. Le spalle (a scatto) ruotano a 360 gradi e le braccia stesse ruotano sull’asse rispetto alle spalle, anche se questo movimento riconosce una certa resistenza nella sua esecuzione. Anche a livello del tronco è presente uno snodo, più precisamente tra addome e bacino. Questo permette torsioni laterali discrete ed una modesta flessione in avanti. L’applicazione degli avambracci è a pressione ed è garantita da due levette che bloccano le due parti quando si raggiunge il punto di aggancio. Per consentirne la massima estensione, sono stati ideati degli sportellini sull’avambraccio stesso immediatamente al di dietro del gomito così da massimizzare il movimento. Carino il doppio sistema a molla ideato per la simulazione del Sudden Impact, basta tirare indietro fino a bloccare la parte posteriore cromata dell’avambraccio che scatterà in avanti quando si andrà a premere il pugno del robot. La testa si muove molto liberamente, praticamente ruota a 360 gradi e si estende quanto basta. Bello il gimmick che simula, sollevando il collo del robot, l’apertura del cockpit del pilota.  Bella anche la pettorina sollevabile per l’applicazione dei cannoni sul torace. Personalmente ho optato per l’esposizione con la piastra addominale simulante le bocche di fuoco, se non altro per spezzare un attimo, data la diversa colorazione, la monotonia di una verniciatura relativamente uniforme. Carino il sistema sulla punta dei piedi da cui è possibile estrarre le rampe per la fuoriuscita della macchina di Roger Smith. La dotazione delle mani è davvero scarna e deprimente, appena due paia, anche se quelle con dita articolate sono davvero ben realizzate presentando anche il polso snodato.

La povertà della dotazione mani, come del resto degli accessori, trova spiegazione nella scelta operata da Bandai di commercializzare, per questo modello, i vari accessori separatamente da esso. A questo set però sarà dedicata una recensione specifica data l’importanza del suo contenuto.

In conclusione c’è poco da dire: è il solito prodotto Bandai ben curato e progettato, con un grado di posabilità ben più che soddisfacente a dispetto di un’estetica relativamente sgraziata e goffa. Certamente la scelta di commercializzare gli accessori separatamente non fu una mossa molto apprezzata. Ricordo che già all’uscita il set non costava pochissimo, soprattutto per noi collezionisti italiani. Ma la nostra cara mamma Bandai non dimentica i suoi cari clienti! A gennaio del prossimo anno riproporrà il GX48, questa volta full pack, con la bellissima colorazione Kurogane Finish, diventando il Gx48K. A mio parere il Big O è ancora oggi uno dei modelli più belli e riusciti della serie Soul of Chogokin e merita sicuramente una nuova occasione per entrare nelle collezioni di chi si è perso o trascurato la sua prima uscita. Meditate gente, meditate.....to be continued…..