Altro robottone che torna con prepotenza dalla finestrella
aperta sui nostri ricordi degli anni ’80, il Danguard! Mecha protagonista
dell’unico anime robotico di Leiji Matsumoto, con un character design affidato
a Shingo Araki e un plot di fantascienza robotica che, tuttavia, vedeva l’uomo
come nemico di se stesso, anziché degli abituali invasori alieni. Dalle prime
apparizioni sui nostri televisori di tempo ne è passato parecchio, e come
allora i bambini si divertivano a massacrare il loro Danguard giocattolo, oggi
gli adulti hanno la possibilità di rendere omaggio ad un caro ricordo con un
modellino moderno, grazie a questo Bandai GX-62, oppure anche alla proposta
Yamato uscita qualche anno fa e, ahimè, arrivata a quotazioni ormai
esorbitanti.
Inutile nascondere la diffusa delusione generatasi già alle
prime apparizioni del proto del modello, non tanto per la allora sconosciuta
qualità in sé, quanto per le ridotte dimensioni dello stesso. “Ma come Bandai,
ci avevi ormai abituato a giganti sempre più ingombranti (in effetti, tutti i
componibili sono alti dai 25 cm in su) e dovevi contrastare il buon lavoro di
Yamato con il suo metallosissimo colosso uscito qualche anno fa… e te ne esci
con un chogokin di 19 cm??”… “E la scala con gli altri modelli? Il Danguard,
nella fantasia degli anime robotici, dovrebbe essere infatti uno dei robottoni
più grandi di sempre, quindi questo GX è si ben accostabile a cose come gli
SRC, ma come possiamo avvicinarlo dignitosamente al God Sigma, a cui arriva
giusto alle cosce?”… Bè, superato lo stupore iniziale, e ammettendo senz’altro
almeno una briciola di delusione anche da parte del sottoscritto, spezziamo per
correttezza anche una lancia in favore di Bandai. Si perché, ad onor del vero,
il rispetto delle presunte scale di fantasia dei mecha non è mai stata una
prerogativa dei Soul of Chogokin, che se da un lato hanno azzeccato abbastanza
bene le proporzioni tra qualche robot nagaiano e qualche componibile Sunrise,
dall’altro presentano allora un oceano di incongruenze: il Gunbuster dovrebbe
essere di gran lunga il GX più grande, il Daioja anziché un microbo è invece ad
oggi quello più alto di tutti, i Getter non sono dei giganti se confrontati ai
Mazinga, né God Mars e Dancouga sono dei nanerottoli se confrontati con Daitarn
e Ideon, come la rigida teoria presupporrebbe… ma gli esempi sono infiniti.
Inoltre, non dimentichiamo che sul mercato è presente il già citato Danguard
Yamato di 28 cm, non è escluso che Bandai non abbia voluto (o potuto per problemi
legati ai diritti) mettersi in concorrenza con un prodotto simile già
esistente; oppure ancora, molto semplicemente, le altezze dei GX potrebbero
essere direttamente collegate al lavoro tecnico richiesto nella progettazione,
ergo più un modello è complesso, più è facile da
costruire/manipolare/trasformare se la stazza è maggiorata. E il Danguard non
presenta certamente una trasformazione intricata. Quindi, forse è il caso di
mettersi il cuore in pace, evitando di soffermarsi alla sola apparenza, rischiando
così di non godere appieno della pregevolissima fattura di questo GX. Si perché
lo dico subito, il Danguard Bandai è un vero gioiellino di tecnica e qualità.
Abbiamo un gokin metalloso e solidissimo, infatti sono in
zama braccia, torace, bacino, cosce, piedi e gran parte degli snodi,
mancherebbero solo le gambe per poter soddisfare veramente tutti quanti, ma già
così direi che il peso è soddisfacente. La verniciatura è buonissima e precisa,
e ricopre anche le gambe che quindi non sono più scialbamente colorate in
pasta, e infatti il colpo d’occhio globale è davvero appagante. Spettacolare lo
sculpt, che quanto a dettaglio e brillantezza dei colori spazza via la
concorrenza, anche se bisogna segnalare un paio di licenze poetiche che Bandai
si è presa, come spesso accade, e che non tutti hanno gradito: le gambe sono
leggermente più esili del previsto, e le “ginocchiere” sono un pelo
pronunciate. Si perde qualcosina in fedeltà per guadagnarci in dinamismo.
Le articolazioni sono davvero notevoli per un trasformabile,
Bandai si conferma uno dei pochi produttori che, sperimentando spesso strade
alternative, nascondono piccoli gioielli di ingegneria in pochi millimetri
quadrati: ottimo, ad esempio, il lavoro a livello delle caviglie, ginocchia o
in zona bacino (dove, in sostanza, abbiamo uno snodo con ben tre tipi di
movimento, più poi la coscia che può ruotare), se guardate bene le foto si
capisce come questo sia uno dei più posabili GX di sempre. Efficiente anche il
lavoro sulle “spalle”, che possono allargare poco l’arto esternamente, ma
possono essere protese anche in avanti, anche se l’inevitabile effetto estetico
non è eccezionale; i gomiti si piegano parecchio grazie a due snodi dedicati e
le mani hanno il loro classico perno a sfera (e volendo si possono sfruttare
anche gli snodi dedicati alla trasformazione, ma esteticamente il risultato non
è il top). Anche il bacino ha lievi possibilità di rotazione. Globalmente è un
lavoro di livello notevole, bello davvero!
Naturalmente è prevista la trasformazione in satellizzatore,
la gigantesca astronave che poteva raggiungere Mach 15. Tutto avviene con
semplicità e precisione, come visto nell’anime: abbiamo quindi la scomposizione
in tre moduli, testa, busto e arti inferiori, che si trasformano e ricompongono
a loro volta. Molto interessanti le scelte di Bandai in questo caso: all-in-one
o utilizzo di qualche attacca e stacca per mantenere una fedeltà elevata alla
controparte televisiva? Per gli amanti dell’abbondanza, la casa giapponese ha
deciso di accontentare tutti! Ciò significa che è possibile scegliere, ad
esempio, di ripiegare le ali a riposo sulla schiena del robot oppure, se non
sono gradite, sostituirle con un piccolo pannello ad hoc; in aggiunta, durante
la conversione in satellizzatore si possono occultare gli avambracci
ripiegandoli all’interno del busto, oppure toglierli completamente; ancora, la
pettorina nasconde i tre piccoli carrelli d’atterraggio, sostituibili con un
carrello più importante; oppure ancora, si può scegliere di mantenere l’elmetto
trasformabile o di preferirne un altro statico, ma senza cernierina a vista.
Presenti anche due grandi (e brutti) carrelli posteriori contenuti nelle gambe,
che altro non sono che un omaggio al Danguard Popy dei tempi che furono, e non
mancano gli appassionati che sanno apprezzerare queste citazioni non certo rare
nei GX.
Oltre a tutti questi accessori, ritroviamo le armi originali
(si poteva magari inserire qualche effetto per simulare la fuoriuscita dei
missili dalle spalle, qualche onda energetica o cose simili) e una ottima
riproduzione della Freccia del cielo, la piccola astronave utilizzata negli
addestramenti a Mach 15. E l’immancabile basetta che può fungere da espositore
per entrambe le configurazioni del modello e ospitarne tutti gli accessori. Insomma,
il pacchetto-Danguard che propone Bandai è davvero soddisfacente.
Il GX-62 Danguard è un signor modello con un sacco di
qualità, sia tecniche che estetiche. Un buonissimo prodotto accompagnato da un
prezzo che personalmente trovo adeguato (attorno alle 100-120 euro), visto i
tempi che corrono. Tuttavia, non riesco ad esaltarmi all’ennesima potenza
vedendolo confinato in quei 19 cm, comunque non pochissimi in senso assoluto.
Quei 5-6 cm in più lo avrebbero valorizzato alla grande. Allo stesso tempo, non
fate la sciocchezza di sottovalutarlo solo per questo motivo, rischiereste
davvero di perdervi un modellino di ottima fattura.
Articolo - Marco Debon
Foto - Paolo Fasciani