domenica 13 ottobre 2013

GX62 DANGUARD A SOUL OF CHOGOKIN


Altro robottone che torna con prepotenza dalla finestrella aperta sui nostri ricordi degli anni ’80, il Danguard! Mecha protagonista dell’unico anime robotico di Leiji Matsumoto, con un character design affidato a Shingo Araki e un plot di fantascienza robotica che, tuttavia, vedeva l’uomo come nemico di se stesso, anziché degli abituali invasori alieni. Dalle prime apparizioni sui nostri televisori di tempo ne è passato parecchio, e come allora i bambini si divertivano a massacrare il loro Danguard giocattolo, oggi gli adulti hanno la possibilità di rendere omaggio ad un caro ricordo con un modellino moderno, grazie a questo Bandai GX-62, oppure anche alla proposta Yamato uscita qualche anno fa e, ahimè, arrivata a quotazioni ormai esorbitanti.

Inutile nascondere la diffusa delusione generatasi già alle prime apparizioni del proto del modello, non tanto per la allora sconosciuta qualità in sé, quanto per le ridotte dimensioni dello stesso. “Ma come Bandai, ci avevi ormai abituato a giganti sempre più ingombranti (in effetti, tutti i componibili sono alti dai 25 cm in su) e dovevi contrastare il buon lavoro di Yamato con il suo metallosissimo colosso uscito qualche anno fa… e te ne esci con un chogokin di 19 cm??”… “E la scala con gli altri modelli? Il Danguard, nella fantasia degli anime robotici, dovrebbe essere infatti uno dei robottoni più grandi di sempre, quindi questo GX è si ben accostabile a cose come gli SRC, ma come possiamo avvicinarlo dignitosamente al God Sigma, a cui arriva giusto alle cosce?”… Bè, superato lo stupore iniziale, e ammettendo senz’altro almeno una briciola di delusione anche da parte del sottoscritto, spezziamo per correttezza anche una lancia in favore di Bandai. Si perché, ad onor del vero, il rispetto delle presunte scale di fantasia dei mecha non è mai stata una prerogativa dei Soul of Chogokin, che se da un lato hanno azzeccato abbastanza bene le proporzioni tra qualche robot nagaiano e qualche componibile Sunrise, dall’altro presentano allora un oceano di incongruenze: il Gunbuster dovrebbe essere di gran lunga il GX più grande, il Daioja anziché un microbo è invece ad oggi quello più alto di tutti, i Getter non sono dei giganti se confrontati ai Mazinga, né God Mars e Dancouga sono dei nanerottoli se confrontati con Daitarn e Ideon, come la rigida teoria presupporrebbe… ma gli esempi sono infiniti. Inoltre, non dimentichiamo che sul mercato è presente il già citato Danguard Yamato di 28 cm, non è escluso che Bandai non abbia voluto (o potuto per problemi legati ai diritti) mettersi in concorrenza con un prodotto simile già esistente; oppure ancora, molto semplicemente, le altezze dei GX potrebbero essere direttamente collegate al lavoro tecnico richiesto nella progettazione, ergo più un modello è complesso, più è facile da costruire/manipolare/trasformare se la stazza è maggiorata. E il Danguard non presenta certamente una trasformazione intricata. Quindi, forse è il caso di mettersi il cuore in pace, evitando di soffermarsi alla sola apparenza, rischiando così di non godere appieno della pregevolissima fattura di questo GX. Si perché lo dico subito, il Danguard Bandai è un vero gioiellino di tecnica e qualità.

Abbiamo un gokin metalloso e solidissimo, infatti sono in zama braccia, torace, bacino, cosce, piedi e gran parte degli snodi, mancherebbero solo le gambe per poter soddisfare veramente tutti quanti, ma già così direi che il peso è soddisfacente. La verniciatura è buonissima e precisa, e ricopre anche le gambe che quindi non sono più scialbamente colorate in pasta, e infatti il colpo d’occhio globale è davvero appagante. Spettacolare lo sculpt, che quanto a dettaglio e brillantezza dei colori spazza via la concorrenza, anche se bisogna segnalare un paio di licenze poetiche che Bandai si è presa, come spesso accade, e che non tutti hanno gradito: le gambe sono leggermente più esili del previsto, e le “ginocchiere” sono un pelo pronunciate. Si perde qualcosina in fedeltà per guadagnarci in dinamismo.

Le articolazioni sono davvero notevoli per un trasformabile, Bandai si conferma uno dei pochi produttori che, sperimentando spesso strade alternative, nascondono piccoli gioielli di ingegneria in pochi millimetri quadrati: ottimo, ad esempio, il lavoro a livello delle caviglie, ginocchia o in zona bacino (dove, in sostanza, abbiamo uno snodo con ben tre tipi di movimento, più poi la coscia che può ruotare), se guardate bene le foto si capisce come questo sia uno dei più posabili GX di sempre. Efficiente anche il lavoro sulle “spalle”, che possono allargare poco l’arto esternamente, ma possono essere protese anche in avanti, anche se l’inevitabile effetto estetico non è eccezionale; i gomiti si piegano parecchio grazie a due snodi dedicati e le mani hanno il loro classico perno a sfera (e volendo si possono sfruttare anche gli snodi dedicati alla trasformazione, ma esteticamente il risultato non è il top). Anche il bacino ha lievi possibilità di rotazione. Globalmente è un lavoro di livello notevole, bello davvero!

Naturalmente è prevista la trasformazione in satellizzatore, la gigantesca astronave che poteva raggiungere Mach 15. Tutto avviene con semplicità e precisione, come visto nell’anime: abbiamo quindi la scomposizione in tre moduli, testa, busto e arti inferiori, che si trasformano e ricompongono a loro volta. Molto interessanti le scelte di Bandai in questo caso: all-in-one o utilizzo di qualche attacca e stacca per mantenere una fedeltà elevata alla controparte televisiva? Per gli amanti dell’abbondanza, la casa giapponese ha deciso di accontentare tutti! Ciò significa che è possibile scegliere, ad esempio, di ripiegare le ali a riposo sulla schiena del robot oppure, se non sono gradite, sostituirle con un piccolo pannello ad hoc; in aggiunta, durante la conversione in satellizzatore si possono occultare gli avambracci ripiegandoli all’interno del busto, oppure toglierli completamente; ancora, la pettorina nasconde i tre piccoli carrelli d’atterraggio, sostituibili con un carrello più importante; oppure ancora, si può scegliere di mantenere l’elmetto trasformabile o di preferirne un altro statico, ma senza cernierina a vista. Presenti anche due grandi (e brutti) carrelli posteriori contenuti nelle gambe, che altro non sono che un omaggio al Danguard Popy dei tempi che furono, e non mancano gli appassionati che sanno apprezzerare queste citazioni non certo rare nei GX.

Oltre a tutti questi accessori, ritroviamo le armi originali (si poteva magari inserire qualche effetto per simulare la fuoriuscita dei missili dalle spalle, qualche onda energetica o cose simili) e una ottima riproduzione della Freccia del cielo, la piccola astronave utilizzata negli addestramenti a Mach 15. E l’immancabile basetta che può fungere da espositore per entrambe le configurazioni del modello e ospitarne tutti gli accessori. Insomma, il pacchetto-Danguard che propone Bandai è davvero soddisfacente.

Il GX-62 Danguard è un signor modello con un sacco di qualità, sia tecniche che estetiche. Un buonissimo prodotto accompagnato da un prezzo che personalmente trovo adeguato (attorno alle 100-120 euro), visto i tempi che corrono. Tuttavia, non riesco ad esaltarmi all’ennesima potenza vedendolo confinato in quei 19 cm, comunque non pochissimi in senso assoluto. Quei 5-6 cm in più lo avrebbero valorizzato alla grande. Allo stesso tempo, non fate la sciocchezza di sottovalutarlo solo per questo motivo, rischiereste davvero di perdervi un modellino di ottima fattura.


Articolo - Marco Debon
Foto - Paolo Fasciani