sabato 19 ottobre 2013

GUNDAM EXIA REPAIR METAL BUILD FROM GUNDAM 00


La linea Metal Build di Bandai sta facendo sempre più breccia nelle collezioni di tutti gli appassionati del settore, come sapete il primo modello prodotto è stato il Gundam 00 Seven Sword uscito nel marzo 2011, oggi le quotazioni di questo prodotto hanno purtroppo raggiunto cifre improponibili, anche in Giappone. Tralasciando i due recolor 00 Trans-Am e Freedom Coatting Version, siamo giunti alla quinta uscita regolare della serie ed in questa recensione cercheremo di analizzare nel modo più approfondito possibile l’ultima “fatica” Bandai, il Gundam Exia Repair, appartenente alla serie Mobile Suit Gundam 00.

Questa versione compare nel primo episodio della seconda parte, esattamente dopo 4 anni dalla distruzione dell’Exia in combattimento. Il pilota Setsuna F. Seiei, non riuscendo a mettersi in contatto con l’organizzazione Celestial Being, decide di riparare con i propri mezzi il Mobile Suit danneggiato, da qui nasce il nome di Exia Repair. In seguito i Celestial Being riescono a recuperare l’Exia ed il suo generatore GN-Drive verrà impiantato nel Gundam 00 che diventerà il protagonista della seconda parte della serie. Solo più avanti il Mobile Suit Exia ricomparirà con un nuovo assetto denominato Exia Reapir 2 ed in seguito ad un nuovo danneggiamento verrà nuovamente modificato con l’assetto Exia Reapir 3. 

Passiamo ora all’analisi della produzione Bandai…..La confezione è molto curata, l’art work presenta il modello al centro corredato dal nome della serie in rosso metallizzato nella parte superiore, nella parte bassa invece sono riportati il nome del Mobile Suit, alcuni dati tecnici su peso ad altezza “reali”, il nome del pilota e la sigla di riferimento GN-001RE. Tutta la bordatura della confezione è rifinita con inserti cromati unitamente alla scritta Metal Build nella parte bassa. Sul retro la classica presentazione del contenuto ed i dettagli ravvicinati più significativi. Le dimensioni della confezione sono identiche a quelle dell’Exia precedentemente uscito, 38x26,5x7cm di spessore. All’interno della scatola troviamo un contenitore in polistirolo riservato all’alloggiamento del modello, alle parti che compongono il mantello e del display stand. Separatamente in un blister in plastica sono invece contenuti gli altri accessori, l’asta regolabile per lo stand, un secondo fregio per la testa in gomma morbida, quattro mani intercambiabili, la GN-Sword, due generatori GN-Drive e le parti opzionali per ottenere la versione Repair 2 da montare sul primo Exia uscito. Il modello misura 19 cm di altezza per un peso di circa 335 grammi, tutto il frame interno è in metallo mentre la corazza esterna è in plastica. Questa versione è realizzata sulla base di un Mobile Suit danneggiato in battaglia, il modello infatti è stato dotato di parti danneggiate e scheggiate, la testa presenta metà volto con i meccanismi interni in vista ed il fregio spezzato. Manca l’aletta gialla destra accanto al collo e quella sul pettorale sinistro, la protezione blu sull’addome, una parte protettiva frontale del bacino, la protezione del ginocchio destro, le parti trasparenti verdi sulle gambe e quelle mobili alle caviglie, ma l’assenza più importante è senza dubbio quella del braccio sinistro. Al posto dell’arto troviamo un supporto in plastica dotato di due piccole articolazioni in grado di assumere diverse posizioni. Sui due perni vanno ad agganciarsi le due parti in gomma rigida che formano il mantello protettivo che di fatto sostituisce il braccio sinistro del Mobile Suit. Grazie alle due articolazioni presenti queste due parti possono essere posizionate e ruotate in diverse posizioni, ricreando, concedetemi il termine, un bellissimo effetto svolazzante. Le parti che formano il mantello sono molto dettagliate, le pieghe e gli strappi sono ricreati davvero in modo superbo con una colorazione sporca che restituisce uno splendido effetto vissuto a tutto il mantello. Rimanendo in tema di colorazione non può passare inosservato il bellissimo lavoro fatto da Bandai su tutto il corpo dell’Exia Repair, dalla testa ai piedi è stata realizzata una verniciatura sporca che in gergo viene chiamata weathering. Le ombreggiature sono realizzate sapientemente non risultando mai troppo accentuate e distribuite uniformemente su tutto il modello, addirittura anche i marker presenti sulle varie parti del corpo sono appositamente graffiati e parzialmente illeggibili proprio per completare a 360 gradi l’effetto battle damaged. Oltre alla colorazione sporca, Bandai ha distribuito sul corpo dell’Exia Repair diverse scheggiature ed imperfezioni, ne troviamo sopra alla testa, sul bordo della spalla destra, sul femore, sul ginocchio sinistro e addirittura sullo scudo della GN-Sword. Il lato puramente tecnico del modello conferma le caratteristiche della serie Metal Build e cioè grandissima posabilità grazie ai molti snodi presenti sul corpo. La testa può essere ruotata, inclinata ed alzata grazie ad un perno a scatto che permette una maggiore escursione verso l’alto, il tronco ruota e si piega in avanti mentre spalla e braccio godono di ampissima liberta di movimento. Le gambe possono essere divaricate e piegate moltissimo, addirittura ruotare contemporaneamente sul proprio asse, anche i movimenti avanti/indietro sono davvero notevoli e gli snodi delle caviglie permettono al modello di avere sempre i piedi ben appoggiati a terra. Nel piede è presente un ulteriore snodo che ne permette il piegamento garantendo ancor più stabilità ed adattabilità in base alla posa scelta. Unitamente ai pregi della serie Metal Build è presente purtroppo anche quello che, a mio modo di vedere, è l’unico vero difetto di queste produzioni…..le articolazioni ad atrito! Questo tipo di soluzione purtroppo tende come sempre a perdere tenuta dopo diverse manipolazioni compromettendo a volte la stabilità dell’intero modello o di una specifica parte. E’ davvero un peccato che Bandai non inserisca le articolazioni a scatto su questi modelli, farebbero raggiungere alla serie Metal Build l’eccellenza per quella che è in questo momento una delle linee più soddisfacenti dal punto di vista puramente qualitativo. 

Come ho scritto all’inizio, sono presenti nella confezione alcune parti aggiuntive dedicate al primo Exia uscito e servono per la ottenere la versione Repair 2. Le parti in questione sono sette…..due coperture per le spalle, due parastinchi, due protezioni da inserire nel retro braccio ed un generatore GN-Drive più allungato. Con queste parti i possessori del primo Exia possono ottenere la dotazione completa ed in questo modo decidere l’esposizione fra le tre varianti a disposizione, Gundam Exia, Repair 2 e Repair 3…..ricordo che nella confezione precedente sono inserite le parti per la configurazione 3.

Quello che colpisce e probabilmente spinge all’acquisto di questo modello, è senza dubbio la sua diversa estetica rispetto alle versioni normali dei Mobile Suit precedentemente usciti per la serie Metal Build. I dettagli delle parti danneggiate, la colorazione sporca ed il mantello, donano a questo Exia Repair un tocco di originalità e diversità notevoli. Certamente questa uscita è strategica, lo dimostra la presenza delle parti opzionali per completare la dotazione di serie del primo Exia uscito, cosa per altro sicuramente fattibile con la prima confezione venduta…..potere delle strategie di marketing….. Tecnicamente essendo un copia e incolla della prima versione, questo modello punta tutto sul suo particolare aspetto danneggiato che certamente solleticherà i molti palati fini amanti della serie. Dal mio punto di vista non posso far altro che promuovere questa realizzazione della casa nipponica che è riuscita ancora una volta a sorprendermi e stupirmi con effetti davvero speciali ^__^ Prima di concludere voglio fare un doveroso ringraziamento all’amico Garion-Oh per le preziose informazioni che mi hanno permesso di realizzare questa recensione.....stay tuned…..







domenica 13 ottobre 2013

GX62 DANGUARD A SOUL OF CHOGOKIN


Altro robottone che torna con prepotenza dalla finestrella aperta sui nostri ricordi degli anni ’80, il Danguard! Mecha protagonista dell’unico anime robotico di Leiji Matsumoto, con un character design affidato a Shingo Araki e un plot di fantascienza robotica che, tuttavia, vedeva l’uomo come nemico di se stesso, anziché degli abituali invasori alieni. Dalle prime apparizioni sui nostri televisori di tempo ne è passato parecchio, e come allora i bambini si divertivano a massacrare il loro Danguard giocattolo, oggi gli adulti hanno la possibilità di rendere omaggio ad un caro ricordo con un modellino moderno, grazie a questo Bandai GX-62, oppure anche alla proposta Yamato uscita qualche anno fa e, ahimè, arrivata a quotazioni ormai esorbitanti.

Inutile nascondere la diffusa delusione generatasi già alle prime apparizioni del proto del modello, non tanto per la allora sconosciuta qualità in sé, quanto per le ridotte dimensioni dello stesso. “Ma come Bandai, ci avevi ormai abituato a giganti sempre più ingombranti (in effetti, tutti i componibili sono alti dai 25 cm in su) e dovevi contrastare il buon lavoro di Yamato con il suo metallosissimo colosso uscito qualche anno fa… e te ne esci con un chogokin di 19 cm??”… “E la scala con gli altri modelli? Il Danguard, nella fantasia degli anime robotici, dovrebbe essere infatti uno dei robottoni più grandi di sempre, quindi questo GX è si ben accostabile a cose come gli SRC, ma come possiamo avvicinarlo dignitosamente al God Sigma, a cui arriva giusto alle cosce?”… Bè, superato lo stupore iniziale, e ammettendo senz’altro almeno una briciola di delusione anche da parte del sottoscritto, spezziamo per correttezza anche una lancia in favore di Bandai. Si perché, ad onor del vero, il rispetto delle presunte scale di fantasia dei mecha non è mai stata una prerogativa dei Soul of Chogokin, che se da un lato hanno azzeccato abbastanza bene le proporzioni tra qualche robot nagaiano e qualche componibile Sunrise, dall’altro presentano allora un oceano di incongruenze: il Gunbuster dovrebbe essere di gran lunga il GX più grande, il Daioja anziché un microbo è invece ad oggi quello più alto di tutti, i Getter non sono dei giganti se confrontati ai Mazinga, né God Mars e Dancouga sono dei nanerottoli se confrontati con Daitarn e Ideon, come la rigida teoria presupporrebbe… ma gli esempi sono infiniti. Inoltre, non dimentichiamo che sul mercato è presente il già citato Danguard Yamato di 28 cm, non è escluso che Bandai non abbia voluto (o potuto per problemi legati ai diritti) mettersi in concorrenza con un prodotto simile già esistente; oppure ancora, molto semplicemente, le altezze dei GX potrebbero essere direttamente collegate al lavoro tecnico richiesto nella progettazione, ergo più un modello è complesso, più è facile da costruire/manipolare/trasformare se la stazza è maggiorata. E il Danguard non presenta certamente una trasformazione intricata. Quindi, forse è il caso di mettersi il cuore in pace, evitando di soffermarsi alla sola apparenza, rischiando così di non godere appieno della pregevolissima fattura di questo GX. Si perché lo dico subito, il Danguard Bandai è un vero gioiellino di tecnica e qualità.

Abbiamo un gokin metalloso e solidissimo, infatti sono in zama braccia, torace, bacino, cosce, piedi e gran parte degli snodi, mancherebbero solo le gambe per poter soddisfare veramente tutti quanti, ma già così direi che il peso è soddisfacente. La verniciatura è buonissima e precisa, e ricopre anche le gambe che quindi non sono più scialbamente colorate in pasta, e infatti il colpo d’occhio globale è davvero appagante. Spettacolare lo sculpt, che quanto a dettaglio e brillantezza dei colori spazza via la concorrenza, anche se bisogna segnalare un paio di licenze poetiche che Bandai si è presa, come spesso accade, e che non tutti hanno gradito: le gambe sono leggermente più esili del previsto, e le “ginocchiere” sono un pelo pronunciate. Si perde qualcosina in fedeltà per guadagnarci in dinamismo.

Le articolazioni sono davvero notevoli per un trasformabile, Bandai si conferma uno dei pochi produttori che, sperimentando spesso strade alternative, nascondono piccoli gioielli di ingegneria in pochi millimetri quadrati: ottimo, ad esempio, il lavoro a livello delle caviglie, ginocchia o in zona bacino (dove, in sostanza, abbiamo uno snodo con ben tre tipi di movimento, più poi la coscia che può ruotare), se guardate bene le foto si capisce come questo sia uno dei più posabili GX di sempre. Efficiente anche il lavoro sulle “spalle”, che possono allargare poco l’arto esternamente, ma possono essere protese anche in avanti, anche se l’inevitabile effetto estetico non è eccezionale; i gomiti si piegano parecchio grazie a due snodi dedicati e le mani hanno il loro classico perno a sfera (e volendo si possono sfruttare anche gli snodi dedicati alla trasformazione, ma esteticamente il risultato non è il top). Anche il bacino ha lievi possibilità di rotazione. Globalmente è un lavoro di livello notevole, bello davvero!

Naturalmente è prevista la trasformazione in satellizzatore, la gigantesca astronave che poteva raggiungere Mach 15. Tutto avviene con semplicità e precisione, come visto nell’anime: abbiamo quindi la scomposizione in tre moduli, testa, busto e arti inferiori, che si trasformano e ricompongono a loro volta. Molto interessanti le scelte di Bandai in questo caso: all-in-one o utilizzo di qualche attacca e stacca per mantenere una fedeltà elevata alla controparte televisiva? Per gli amanti dell’abbondanza, la casa giapponese ha deciso di accontentare tutti! Ciò significa che è possibile scegliere, ad esempio, di ripiegare le ali a riposo sulla schiena del robot oppure, se non sono gradite, sostituirle con un piccolo pannello ad hoc; in aggiunta, durante la conversione in satellizzatore si possono occultare gli avambracci ripiegandoli all’interno del busto, oppure toglierli completamente; ancora, la pettorina nasconde i tre piccoli carrelli d’atterraggio, sostituibili con un carrello più importante; oppure ancora, si può scegliere di mantenere l’elmetto trasformabile o di preferirne un altro statico, ma senza cernierina a vista. Presenti anche due grandi (e brutti) carrelli posteriori contenuti nelle gambe, che altro non sono che un omaggio al Danguard Popy dei tempi che furono, e non mancano gli appassionati che sanno apprezzerare queste citazioni non certo rare nei GX.

Oltre a tutti questi accessori, ritroviamo le armi originali (si poteva magari inserire qualche effetto per simulare la fuoriuscita dei missili dalle spalle, qualche onda energetica o cose simili) e una ottima riproduzione della Freccia del cielo, la piccola astronave utilizzata negli addestramenti a Mach 15. E l’immancabile basetta che può fungere da espositore per entrambe le configurazioni del modello e ospitarne tutti gli accessori. Insomma, il pacchetto-Danguard che propone Bandai è davvero soddisfacente.

Il GX-62 Danguard è un signor modello con un sacco di qualità, sia tecniche che estetiche. Un buonissimo prodotto accompagnato da un prezzo che personalmente trovo adeguato (attorno alle 100-120 euro), visto i tempi che corrono. Tuttavia, non riesco ad esaltarmi all’ennesima potenza vedendolo confinato in quei 19 cm, comunque non pochissimi in senso assoluto. Quei 5-6 cm in più lo avrebbero valorizzato alla grande. Allo stesso tempo, non fate la sciocchezza di sottovalutarlo solo per questo motivo, rischiereste davvero di perdervi un modellino di ottima fattura.


Articolo - Marco Debon
Foto - Paolo Fasciani