Cast in the name of God, ye not guilty…..facciamo un salto
all’indietro e torniamo nel 2009, anno in cui Bandai lancia sul mercato il suo
Gx48, il Big O. Il soggetto è tratto dalla serie Sunrise del 1999 intitolata Za
Biggu O, costituita da 26 episodi suddivisi in due stagioni di 13 capitoli
l’una. Dal punto di vista estetico il robot si caratterizza per l’originalità
del design retrò che lo distingue in modo evidente da gran parte degli
innumerevoli mecha robotici che popolano i vari anime nipponici. Questo aspetto
costituisce allo stesso tempo il punto a favore ed il tallone d’Achille del
modello nei confronti del quale è difficile avere vie di mezzo, nel senso che,
o lo si ama o lo si odia. Beh, a me sono bastate le prime due puntate
dell’anime (che peraltro raccomando a tutti) per innamorarmi di quello che più
che un robot ricorda per chiodature, forma e colori, una specie di stufa di
ghisa e che, proprio per certi dettagli somatici, trova nel Giant Robot Yamato
il degno gemello cui affiancarlo in vetrina. Ma procediamo senza ulteriore
indugio con la nostra disamina…
La scatola è semplice e non ingombrante (32 x 24 x 9 cm). Frontalmente
abbiamo l’immagine del modello con il grosso nome del robot ben stampato
nell’angolo basso sinistro. Al di sotto di esso, la frase tipica che
caratterizza l’intero anime…..Cast in the name of God, ye not guilty….. La
stessa frase la ritroviamo centralmente sulla faccia posteriore dove, al di
sotto di tre immagini del robot in pose diverse, sono illustrati i pochissimi
accessori contenuti nella confezione. Della povertà di contenuti di questo
modello e della scelta fatta da Bandai nei confronti dei potenziali acquirenti,
avremo modo di parlare più avanti nel corso della recensione. All’interno troviamo
un contenitore in polistirolo dove, protetto dal contatto tramite un foglio di
plastica trasparente, è alloggiato il
Big O senza avambracci. Un blister di plastica trasparente invece contiene i
due avambracci, due paia di mani (uno chiuso a pugno e uno con dita articolate
separatamente alla mano a livello delle falangi), una piastra per simulare
l’apertura delle bocche di fuoco sull’addome e due paia di piastre con tre
cannoncini l’una applicabili sul torace dopo aver sollevato la pettorina del robot.
Un secondo blister accoglie la basetta espositiva ed il supporto per gli
accessori suddiviso in due parti da agganciare tra loro. Nell’immancabile
libretto illustrativo è stato dato ampio spazio e risalto al fatto che sia la
fase di progettazione che le fasi successive, sono state costantemente seguite
dagli autori della serie anime. Data la semplicità del modello, le istruzioni
di assemblaggio vere e proprie, sono chiaramente molto poche.
Il modello è davvero imponente sia per il design stesso, sia
perchè in questo caso Bandai non ha fatto economia in termini di dimensioni, il
gokin infatti ha una altezza di tutto rispetto, ben 22 cm. In realtà, sia
perchè è grande e sia perchè a vederlo così sembra fatto interamente di
metallo, si resta un po’ delusi quando estraendolo dalla scatola e soppesandolo
ci si trova in mano un oggetto che avremmo creduto più pesante. Non
fraintendete, il Gx48 supera comunque il mezzo chilo di peso, 545 grammi per la
precisione, ed ha una buona percentuale di metallo. Le parti in zama sono; i
piedi (interamente in metallo a parte il dorso e il copri piede), le cosce, il
gonnellino, le spalle e le braccia. Il resto è invece in plastica per ragioni
verosimilmente tecniche (difficile realizzare avambracci così grandi in metallo
senza che ciò potesse condizionare la continua caduta dell’arto e la difficoltà
nel mantenere le pose a livello di arti superiori). Nella sua monotonia, fatta
eccezione per il casco, la fascia sul collo di color giallo arancio e la
piastra dorata sul petto, il modello è praticamente monocromatico. La
verniciatura di questo gx-48 non è solo impeccabile, ma davvero molto curata
anche a livello di piccoli dettagli (vedi i piccoli cerchi rossi distribuiti un
po’ qua e un po’ là sulle varie parti del corpo). Dal punto di vista tecnico è
stato fatto certamente un ottimo lavoro, bello il sistema a stantuffo
molleggiato ideato per consentire più libertà di inclinazione alle caviglie.
Questo, associato alla possibilità di abbassare gli snodi delle anche quando si
allargano le cosce (sistema che ricorda il blocco del bacino dei GX44 e Gx45),
permette di dare posabilità ad un soggetto che di base non ha un design che fa
della leggiadria e dell’agilità le sue armi migliori e che, nell’anime stesso,
soffre di una certa staticità. La possibilità di estrarre parzialmente le cosce
dalle gambe garantisce inoltre maggiori escursioni nei movimenti di flessione
all’articolazione (a scatto) delle ginocchia. Le spalle (a scatto) ruotano a
360 gradi e le braccia stesse ruotano sull’asse rispetto alle spalle, anche se
questo movimento riconosce una certa resistenza nella sua esecuzione. Anche a
livello del tronco è presente uno snodo, più precisamente tra addome e bacino. Questo
permette torsioni laterali discrete ed una modesta flessione in avanti. L’applicazione
degli avambracci è a pressione ed è garantita da due levette che bloccano le
due parti quando si raggiunge il punto di aggancio. Per consentirne la massima
estensione, sono stati ideati degli sportellini sull’avambraccio stesso
immediatamente al di dietro del gomito così da massimizzare il movimento.
Carino il doppio sistema a molla ideato per la simulazione del Sudden Impact, basta
tirare indietro fino a bloccare la parte posteriore cromata dell’avambraccio
che scatterà in avanti quando si andrà a premere il pugno del robot. La testa
si muove molto liberamente, praticamente ruota a 360 gradi e si estende quanto
basta. Bello il gimmick che simula, sollevando il collo del robot, l’apertura
del cockpit del pilota. Bella anche la
pettorina sollevabile per l’applicazione dei cannoni sul torace. Personalmente ho
optato per l’esposizione con la piastra addominale simulante le bocche di
fuoco, se non altro per spezzare un attimo, data la diversa colorazione, la monotonia
di una verniciatura relativamente uniforme. Carino il sistema sulla punta dei
piedi da cui è possibile estrarre le rampe per la fuoriuscita della macchina di
Roger Smith. La dotazione delle mani è davvero scarna e deprimente, appena due
paia, anche se quelle con dita articolate sono davvero ben realizzate
presentando anche il polso snodato.
La povertà della dotazione mani, come del resto degli
accessori, trova spiegazione nella scelta operata da Bandai di
commercializzare, per questo modello, i vari accessori separatamente da esso. A
questo set però sarà dedicata una recensione specifica data l’importanza del
suo contenuto.
In conclusione c’è poco da dire: è il solito prodotto Bandai
ben curato e progettato, con un grado di posabilità ben più che soddisfacente a
dispetto di un’estetica relativamente sgraziata e goffa. Certamente la scelta
di commercializzare gli accessori separatamente non fu una mossa molto
apprezzata. Ricordo che già all’uscita il set non costava pochissimo,
soprattutto per noi collezionisti italiani. Ma la nostra cara mamma Bandai non
dimentica i suoi cari clienti! A gennaio del prossimo anno riproporrà il GX48,
questa volta full pack, con la bellissima colorazione Kurogane Finish,
diventando il Gx48K. A mio parere il Big O è ancora oggi uno dei modelli più
belli e riusciti della serie Soul of Chogokin e merita sicuramente una nuova
occasione per entrare nelle collezioni di chi si è perso o trascurato la sua
prima uscita. Meditate gente, meditate.....to be continued…..